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io tignola


l’io esce dalla carne come la farfallina dalla dispensa, senza esserci entrato. quest’io dunque stava già nella carne, prima che la carne c’era. ma dunque stava in un’altra cosa dalla carne, la cosa che stava prima. ma se stava in una cosa stando nella quale sarebbe poi stato nella carne, senza entrare nella carne, dunque andare da un punto a un altro punto, allora stava in qualsiasi cosa. quest’io dunque stava in una qualsiasi cosa pur essendo in una sola, cioè pur essendo un io. in ciascuna cosa c’era l’io dell’io, che dunque in un certo senso (o se accogliamo il lapsus: in un certo senza) era un egli o era un noi o anche un voi un essi e un tu, o anche un si, che tuttavia essendo per ciascuna cosa uno di questi pronomi, per ciascuna di essi era un io, e lo possiamo chiamare io, ovvero alla fine stava nella lettera i e nella lettera o, nello iato. quest’io insomma starebbe in ciascun punto dell’apparenza, dell’inchiostro e dell’apparenza dietro l’apparenza, o all’interno dell’apparenza, cioè il dentro, e a un certo punto sarebbe la carne che se lo va a prendere e accollare, e insomma che lo aspira e risucchia man mano che si fa carnale e spaziosa, ovvero che ha un potere di risucchio. se era quella del macellaio funzionava lo stesso ma aveva un potere di risucchio molto più scarso e poi faceva una brutta fine (provvisoriamente). e così nel brulicare di signore che escono a scopare sul balcone del palazzo di fronte. la vita, poi, è questo scorrere dell’io, in oggetto contrattili, che si muovono. stando così le cose quest’io fa molto male a votare a destra, fa molto male a non votare, fa molto male a non leggere.


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